Liturgia dei Miserabili – recensioni 2

Liturgia dei Miserabili

SOTTOTRACCIA
I, n. 2, novembre 2007 / aprile 2008

Da I MISERABILI IN SCENA

di Antonino Contiliano

Parlare del cortometraggio Liturgia dei miserabili di Rino Marino – che ne ha curato anche la sceneggiatura, i dialoghi e la regia – non si può fare confinandone la ‘realizzazione’ entro i termini limitativi del dramma-terapia. La messa in scena del “disagio”, orientata al recupero di una presunta sanità mentale tramite la rappresentazione della deviazione mentale portata a consapevolezza espressiva e agita in prima persona, ne rivelerebbe solo l’aspetto di superficie.

Sebbene gli attori messi in scena siano gli stessi protagonisti diretti che “soffrono” lo stato individuato come alienazione  mentale, l’opera va ben oltre il fatto di usare il set e il setting cinematografico quale luogo di semplice funzionalità terapica; e sebbene porti con sé l’intento di un’interazione tesa a sbloccare e integrare il  soggetto delirante facendolo parte attiva di un progetto scenico che ne tematizza il vissuto, il lavoro cinematografico  va infatti oltre la testimonianza dell’uso di una tecnica artistica piegata alla correlata funzionalità terapica, quasi una catarsi di memoria aristotelica (liberarsi dalla passione tramite una simulazione scenica degli effetti provocati dagli affetti). Lì dove, invece, il lavoro cinematografico di Marino mette in luce soprattutto il liberarsi della passione quale vincolo che connette in un unico intreccio la mente e il corpo dei protagonisti disciplinandone le azioni e i comportamenti in una condizione di senso e di esistenza altra; una relazione delirante e forze in fuga rispetto al modello normo-omogeneizzante dei comportamenti sanciti come razionali e accettabili dalle scienze mediche (e non solo) positive, ma storicamente determinati. Liturgia dei miserabili denuncia altresì, per altro verso, l’alienazione dello stesso sguardo medico lì dove il relazionarsi esistenziale, e nelle sue varie forme, dei miserabili/folli è giudicato identità malata, fuori le maglie istituzionalizzate o incancrenite del senso comune, e quindi bisognoso di isolamento e cure speciali di casta per riportare alla normalità le aberranti o inaccettabili condotte di vita e di esistenza di queste singolarità sociali complesse.

Nel film di Rino Marino c’è invece una linea di pensiero e di azione che vede l’esistenza lunatica dei cosiddetti alienati mentali – nevrosi, psicosi o schizofrenia sia il nome o altra etichetta usata per la categorizzazione dei soggetti in scena – come interconnessa con-tingenza storico-culturale di psiche, corpo e raccordo simbolico come veicolo segnico astratto di comunicazione che concretamente sintetizza poi lo stesso intreccio reale e artistico in termini complementari.(…)

Siamo in presenza di una fare film che cattura, come certa pittura moderna, la forma mentre appare, in divenire, e mentre il senso che li anima, e ne motiva l’esistere nel tempo spazializzato tra attualità e virtualità di fotogrammi registrati, si processualizza materializzandosi nelle inquadrature finite e successivamente rielaborate con il montaggio, e poi offerte al pubblico come flusso continuo di immagine-azione reale.

Quella di Liturgia dei miserabili è la storia atemporale, raccontata in parallelo di montaggio tematico, di esistenze stracciate o “miserabili”, liturgicamente semoventi come in un ritmo monotonamente ossessivo e ripetitivo; quasi una difesa virtuosa (paradossalmente passivo-attiva) che il piacere della propria forma d’essere e divenire altro produce rispetto alle incomprensioni, alle ostilità e alle ghettizzazioni esterne.(…)

Storie atemporali. L’ossimoro serve non solo a sottolineare che ci troviamo all’interno di un linguaggio particolare – quello cinematografico, che come qualsiasi altro linguaggio semiotico artistico dà vita e si nutre di eventi che capovolgono l’accreditata legge di non contraddizione come unica legge logica e di vita. L’ossimoro attesta anche il fatto che il regista-poeta Rino Marino, prima che psichiatra e terapeuta di dramma-terapia, sa che le esistenze singolari e con-tingenti di questi “miserabili”, dominati dall’eterno ritorno della liturgia del ritmo comportamentale e situazionale, che risulta feticizzato e ritualizzato, sono attraversati da un tempo di vita  irreversibile e circolare al contempo. (…)

La linea delle inquadrature e del montaggio, che scava e connette nella soglia della materia e dell’anima le esistenze deliranti dei folli e le loro coordinate spazio-temporali, sono infatti intrecciate di affetti e potenza sfuggenti ai soliti legami causali e casuali per darsi quali sono divenire-altro, impasto e miscela di identità sottratte al consueto e moltiplicate di sensi che normalmente non avrebbero nessuna attenzione. (…)

La scena cinematografica, infatti, come il dire poetico dei personaggi che anima Liturgia dei miserabili, ha la stessa valenza metamorfica virtuale-attuale del divenire altro o identità in fuga. Questi personaggi, attraversati da linee di forza né omogenee né omologabili, e che si ripetono  nel tra delle rovine dell’ambiente, delle immagini e delle parole di un contesto deprivante ma che comunque li tocca, hanno ben altra consistenza cui far pensare; ci rimandano, credo, con la potenza dei loro corpi e dei loro ‘affetti’ in processo, alla produzione di una realtà desiderante e incontri fuori dalla portata dei confini politici dovuti e protetti cui il senso comune vorrebbe obbligare ogni semantica difforme. Ma noi ci aspettiamo da Rino Marino altre de-formità.

Liturgia dei Miserabili – recensioni 2ultima modifica: 2010-05-28T23:03:48+02:00da filmalieno
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