FERROVECCHIO – Recensione di Renato Nicolini

FONTE : Paese Sera 

Palchetti e Cantine aprile

Il Teatro Sala 1, presso San Giovanni, è un luogo di culto dell’avanguardia teatrale. Molto romana per l’aspetto, che sembra rievocare le antiche terme. Io stesso ricordo di avervi letto un Football Concert nel 1990, con le musiche di Guido Zaccagnini. Quest’anno ha ospitato, nei giorni in cui Roma era paralizzata dalla neve, Ferrovecchio, testo scene e costumi di Rino Marino, che ne è anche interprete in scena assieme a Fabrizio Ferracane. Sono particolarmente affezionato a questo testo, vincitore del premio della Giuria popolare al Cappelletti 2010 e menzione della Giuria. L’avevo perso per colpa della neve, e penso che Roma dovrebbe offrirgli un’altra chance. L’ho potuto vedere al Teatro Siracusa di Reggio Calabria, di cui sono direttore artistico assieme a Massimo Barilla, dove ha inaugurato la breve stagione teatrale che – non avendo un euro di contributi pubblici – abbiamo potuto offrire alla città. Ferrovecchio è uno spettacolo delizioso, risultante dall’incontro tra la tradizione europea di Beckett e del teatro dell’assurdo, ed il dialetto siciliano. Dovrei dire la tradizione teatrale siciliana: Luigi Pirandello, per fare un nome, inizia scrivendo in dialetto commedie assieme a Nino Martoglio. In una di queste – Cappidazzu paga tuttu – sembra fare la prova generale del pirandellismo, facendo vestire a tutti i personaggi i panni delle maschere della tradizione siciliana… Ferracane, vagabondo in sella ad una bicicletta d’altri tempi, entra nel cupo negozio da barbiere di Rino Marino, fallito, dove l’ufficiale giudiziario arriverà il mattino dopo. Il dialogo tra i due allude a tutto e non spiega niente, ma ci mette di fronte ad una doppia velocità del tempo. Passa per tutti, ma per i due protagonisti è una sorta di nebbia che si stende su tutto il presente. Il dialetto restituisce alla lingua, che non sa dire ma solo alludere, comunque quella ricchezza che all’italiano (come per primo aveva intuito Pasolini) ha comunque tolto l’italiese delle televisione. Luigi Biondi firma il disegno luci, che aggiunge ricchezza ad una prova teatrale tanto lieve nello scorrere quanto poi persistente nella memoria dello spettatore. Ci porta tutti ad interrogarci su quanto è rimasto, nella nostra vita, dei fantasmi di immaginazione e desiderio con cui è iniziata. Il senso del tempo e la capacità di stimolare l’immaginazione oltre l’apparente banalità del quotidiano: ecco la missione del teatro.

RENATO NICOLINI

FERROVECCHIO – Recensione di Renato Nicoliniultima modifica: 2012-06-12T15:44:30+02:00da filmalieno
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