FERROVECCHIO A MESSINA CON IL FURGONE BIANCO E LE LUCI BLU

IMG_1412Arrivano a Messina che è già buio, il loro furgone bianco si ferma davanti al Clan Off Teatro, scende un tizio bassino che apre il portellone posteriore, e dall’interno del furgone una luce blu si diffonde in tutta via Trento fino all’incrocio con la Via La Farina, sembra la scena di un film di Natale o di fantascienza, invece no, è solo la Compagnia Ferracane – Marino che è arrivata in città.

All’interno del furgone stavano gli oggetti di scena, i “Ferrivecchi”, illuminati di blu avevano un aspetto distopico, futurista, il vecchio pezzo arrugginito di un’epoca lontana in un futuro tecnologico, era arte contemporanea quella che osservavo, realizzata, forse inconsciamente, con pochi euro da Liborio, l’attrezzista di compagnia; Ogni compagnia teatrale che si rispetti deve avere un attrezzista come Liborio, per esempio nella compagnia Scimone-Sframeli, c’è Santo, non so’ fino a che punto sono simili Santo e Liborio, ma sicuramente senza di loro non ci sarebbe il Teatro e non ci sarebbe una “Compagnia Teatrale”, mi piace dare loro questa importanza e questa parvenza di poetica essenza romantica, di cui ne subisco sempre il fascino.

Dopo poco vidi Rino Marino, cappello di lana con i capelli che uscivano di lato, occhiali scuri in tarda serata che era già buio, andatura barcollante, sembrava un sicario della mafia di un film comico, quelli che fanno paura all’inizio, poi però sono buoni e ti lasciano andare, ma mentre corri per scappare ti investe una macchina e muori lo stesso e loro passano per dei sicari spietati e perfetti, che fanno sembrare gli omicidi degli incidenti.

Gli oggetti di scena sono i veri protagonisti di questa storia, una bicicletta forse dei tempi della seconda guerra mondiale, una poltrona antica da barbiere, un mobile con lo specchio e delle porte molto vecchie, e la statuina di un Santo non identificato, sono loro che ti riportano indietro nel tempo, la scena è la riproduzione di un vecchio salone da barbiere che i due attori fanno vivere per poco più di un ora.

Ferrovecchio non è solo una divertente riflessione sul tempo che passa, ma un viaggio a ritroso nella propria vita, tutti quei discorsi lasciati incompiuti che continuano a tornare nei nostri pensieri, anche io ho un discorso lasciato aperto, e come uno dei protagonisti, ripercorro gli stessi passi, rivedo la stessa persona sperando che i casi della vita facciano riaprire quel discorso per poterlo finalmente chiudere, ma niente da fare, non si presenta mai quell’occasione giusta, il destino non vuole, per cui non possiamo fare altro che aspettare.

È l’attesa, infatti, a delineare Andrè, il personaggio interpretato da Rino, che apre la scena seduto su una sedia ad aspettare, un attesa lunghissima quasi tutta una vita, che sembra lasciare le cose “i stissi i t’annu”, in quel luogo che è rimasto tutto uguale “i t’annu”, attesa che svanisce con l’ingresso imprevisto di Fabrizio Ferracane e della sua bicicletta vecchia e arrugginita, espressione di movimento e azione, di quel continuo andare avanti a cui non ci possiamo sottrarre, perchè tanto il tempo passa inesorabile, lasciando le cose “i stissi” ma sempre più vecchie, e quei: “solo cinque minuti” che si ripetono sempre, poi terminano e bisogna fare qualcosa, anzi è meglio fare qualcosa, altrimenti quella bottiglia di roba buona conservata per le occasioni speciali non verrà mai bevuta.

Nella Drammaturgia di Rino, percepisco per la seconda volta questa sua attenzione per i personaggi ai margini, un po’ in stato di abbandono, una follia e una solitudine sempre presente, l’atmosfera è spesso nostalgica e malinconica, ma che sempre si risolve con uno spiraglio di ottimismo, si apre sempre alla vita.
Gli altissimi livelli di comicità sono resi tali dalla bravura degli attori soprattutto nei tempi delle battute, di questo loro sono maestri, la comicità è il veicolo migliore per trascinare lo spettatore dentro la storia, e far vivere assieme ai personaggi il percorso riflessivo che gli stessi compiono, ogni solitudine si risolve sempre in una compagnia, che altro non è che l’insieme di due solitudini, e in una festa, perché la vita è sempre una festa.
I folli personaggi che Rino disegna e che assieme a Fabrizio fa vivere, sono quelli che poi alla fine della storia se la passano, forse, meglio di tutti, facendo di quel minimo essenziale il loro tutto, di quella povertà assoluta la loro ricchezza.

Ferrovecchio avanza nel tempo in modo lineare e in modo molto comprensibile nonostante l’utilizzo del dialetto, alternando momenti di alta comicità a momenti più malinconici, il disegno luci senza nessuna sbavatura supporta benissimo storia e attori, creando le giuste suggestioni, Rino e Fabrizio in scena sono molto belli e non hanno nessun bisogno di sentirsi dire che sono bravi, creano una forte sinergia fra Pubblico, Storia, e Spazio scenico.
L’unico microscopico e personale appunto che mi sento di fare da Esperto Ignorante è che, da spettatore ho percepito un po’ troppo il passare del tempo in un certo punto della storia, magari questo senso di percezione del tempo così dilatato è un aspetto voluto dal regista, però mi ha fatto perdere un po’ di attenzione, forse qualche piccolo scambio di battute in meno non toglierebbe nulla alla storia e si avvierebbe, con qualche minuto di anticipo al finale, che, nelle parole splendidamente interpretate da Fabrizio Ferracane, ha tutta la dilatazione temporale necessaria, ma comunque “sa virunu iddi soccu fari.”

La Compagnia Ferracane – Marino meriterebbe di essere inserita, con uno dei suoi spettacoli, nella stagione teatrale della Sala Laudamo, con almeno tre repliche sold out, ma il Teatro Vittorio Emanuele non ha ancora capito come gestire la Sala Laudamo o forse non lo sa fare, comunque ora gli chiedo se la danno a me cosi me la vedo io, in ogni caso bisogna aspettare, e noi aspettiamo, intanto per fortuna ci sono sempre i Teatri Off della città, ciao, arrivederci.

FERROVECCHIO A MESSINA CON IL FURGONE BIANCO E LE LUCI BLUultima modifica: 2018-12-22T19:36:58+01:00da filmalieno
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