Orapronobis – 26 maggio 2013 (Roma) – recensione di Chiara Di Pietro

Ciò che più mi turba dello scrivere di teatro è la consapevolezza di quanto non potrò, con il verbo, rendere giustizia a certe vibrazioni. Aveva profondamente ragione chi sosteneva che descrivere una cosa è un po’ come ucciderla. Se poi quella cosa si chiama teatro e porta in sé l’anima di un attore talentuoso come Fabrizio Ferracane, allora io sto in qualche modo facendo un torto ad ambedue. Ma è pur vero che le cose belle vanno condivise, affinchè non restino merce rara al cospetto di pochi. La cornice non è preziosa e la sala non offre profonde suggestioni, ma il teatro è un incontro, a cui basta un attore con il suo spettatore. E questo incontro è così intenso, che qualsiasi sigillo tuonerebbe con il tonfo sordo di un orpello. Qui dove la miseria dell’uomo è tanto più densa, passo dopo passo, in un viaggio tra l’onirico e il visionario nel budello più remoto d’una Sicilia trascorsa. L’uomo ne porta le ferite, tra lamenti bestiali e umile resa, dinanzi a sua “Eccellenza”, tal fantoccio di pezza, posto di spalle, che sentenzia le sue condanne dall’alto del silenzio e dell’immobilità con cui siede sulla poltrona di drappo scarlatta. Al suo cospetto, l’uomo porta cimici e fetu di taverna. Pirdunassi eccellenza si vi parlu cu’ sta vucca lorda di muccuna amari, si v’appestu la stanza cu la me miseria…cu sti manu c’hannu tuccatu carni di burdellu. Lo sciagurato si accinge ai piedi della veste ecclesiale, spogliato delle sue più insalubri verità, delle debolezze più indegne. Prega che “Eccellenza” gli parli, pi st’aricchi c’hannu ‘ntisu vuci di briganti. A lui che senza un sordu n’sacchetta trasivu n’ta la casa di Cristu. Ma dal culto a capo chino, trasuda ben presto una dura invettiva alla depravazione del potere ecclesiastico. Presto verranno, comu l’api a lu meli, comu un pugnu di muschi. Verranno pi schiuvari ddu Cristu di la vostra cruci, p’allibbirtallu di li vostri chiova e di li vostri spini. E allora, nel giorno del giudizio, non ci sarà da chiedere perdono per quella predica che viene da un pulpitu chi feti di carogna. Nelle trame intessute in questo testo straordinariamente incisivo, l’uomo finisce per fare i conti con se stesso o con ciò che ne resta. E’ probabilmente l’ultimo confronto, il più doloroso. Nel ripercorrere il miserando incedere della sua vita mortale, incespica sulla disgrazia che lo ha privato dei suoi affetti più cari. Quella disgrazia chi veni senza aspittata, un jornu di mezz’ austu. Un sacciu nenti. sacciu chi c’è la morti pirchì l’haiu vistu cu’ sta facci e l’haiu tuccatu cu’ sti manu. La morti è un picciriddu chi joca a ammucciareddu, un picciriddu tintu cu’ ddu occhi funnuti chi ti scuvanu. e un canusci né vecchi né picciotti… Dopo il successo di Ferrovecchio, vincitore del premio della critica al Dante Cappelletti 2010, Orapronobis echeggia a conferma di un attore pieno di fascino e spessore, che muove con estrema energia ogni canale comunicativo, dosando la drammaturgia di un testo scritto per lui da una mano sapiente.

http://www.saltinaria.it/recensioni/spettacoli-teatrali/orapronobis-teatro-fanfulla-roma-recensione-spettacolo.html

Orapronobis – 26 maggio 2013 (Roma) – recensione di Chiara Di Pietroultima modifica: 2013-06-04T02:54:00+02:00da filmalieno
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