FERROVECCHIO – recensione di Chiara Di Pietro

http://www.saltinaria.it/recensioni/spettacoli-teatrali/14106-ferrovecchio-teatro-sala-uno-roma-recensione-spettacolo.html

13 febbraio 2012 Fonte SaltinAria

Vincitore del premio indetto dalla giuria popolare “Dante Cappelletti” nell’edizione 2010, “Ferrovecchio” è un’opera d’arte che merita di girare i piccoli e grandi teatri del nostro paese. In scena per la prima volta a Roma, lo spettacolo è stato ospite del Sala Uno fino al 12 febbraio.

Associazione Culturale Sukakaifa e TeatrUsica presentano

FERROVECCHIO

di Rino Marino

con Fabrizio Ferracane e Rino Marino

regia Rino Marino

scene e costumi Rino Marino

disegno luci Luigi Biondi

assistente alla regia Viviana Di Bella

 

Luntano di li cosi, di li casi e di lu tanfu di li cristiani, due solitudini si incontrano sotto le volte del Teatro Sala Uno, cinte da una scenografia semplice e minimalista, a creare una suggestione senza eguali.

Dall’interno di un dimenticato barbiere, pochi attenti dettagli ci raccontano una vita. Un catino, un paio di sedie, un vecchio rasoio e qualche lozione da barba. Alle spalle, due grandi pareti usurate dal tempo chiudono il cerchio.

Sullo sfondo echeggia il cigolio di un ferro vecchio. E’ la vecchia carcassa di una bicicletta che racconta il vagabondare di un uomo senza nome. Costui muove sulla scena trascinando un corpo in perpetuo dondolio, carezzando, come nel migliore dei rituali, un fazzuolo di stoffa. Veste panni di chi è senza tempo e senza meta. Vinto dalla strada, unica consigliera nel suo peregrinare senza fine, il nostro vagabondo si guarda intorno fino a notare che “nenti ha canciatu”.

Tutto è rimasto com’era, sospeso. La bottega del barbiere, che lui si ostina a chiamare Andrea perché è così che l’ha sempre nominato, è quella di “quann’eramu piccirddli”.

E quella bicicletta, che era di sua padre e prima ancora di suo nonno, “sempri accussì ha sunato”. E allora – si chiede – che cerchiamo?

In una disperata urgenza di comunicazione, nel bisogno di aggrapparsi forse a quell’ultimo anelito di vita per toccare l’altro e da esso farsi toccare, i due si concedono un incontro-scontro dialettico in cui rispolverare antiche memorie.

In un gioco di equivoci dal sapore tragicomico, il nonsense e il calore della lingua siciliana investono di umanità e verve vite dai colori sbiaditi.

E visto che “li discursa s’hanno a chiuriri comu s’accumencianu”, così il barbiere ci rende parte della sua malasorte che, come un pozzo avvelenato, ha riservato per lui tempi di malanova.

Il vagabondo, uscendo di scena, gli lascia l’unica cosa che possiede, la sua bicicletta, perché – dice – “ la strata longa aiuta li pensieri”. In fondo per lui “cchiù di mezzanotti nun pò fari”.

Ecco cos’è Ferrovecchio. “Un pezzu di ferro rrancitusu cu’ du’ umma e un pezzu di coriu pi’ pusarici  lu culu”.

Due soli attori in scena rendono onore e dignità al teatro. Straordinaria l’interpretazione di Ferracane nel ruolo del vagabondo, che caratterizza con stile. Frutto di un lavoro attento e meticoloso, l’energia è propria di quel corpo e quella voce che la fanno da sovrani sul palcoscenico.

Elegante contrapposizione con il duro volto di Marino, autore e regista, che veste i panni del barbiere in rovina, con inappuntabile padronanza dei tempi comici. Interessante il connubio e l’ambizioso progetto di cui è fautore.

FERROVECCHIO – recensione di Chiara Di Pietroultima modifica: 2012-02-19T15:22:15+01:00da filmalieno
Reposta per primo quest’articolo