Ci sono vite che sono nate disgraziate, senza che ci sia un singolo dramma individuabile, che so: una malattia, un incidente, un amore tradito, un’ingiustizia subita. Certe volte la disgrazia è un male innato, che ci ha travolto prima che venissimo in una vita in cui forse non siamo giunti, rimasti in un tempo sospeso che sono le otto che una sveglia accanto al letto segna da sempre e per sempre. Le otto di mattina, o di sera, ma non importa, nulla importa quando la pazzia calca la mente come un cavallo intento in un galoppo eterno.
Ci potrebbe anche essere il silenzio in scena, la disperazione sarebbe uguale, anche senza parole la disgrazia si spiegherebbe lo stesso: è dipinta sui volti scolpiti dei due attori, cola dai loro nomi: la festa cattiva e il pipistrello, ossimori della vita. Basterebbe la disperazione nel tuppuliare alla porta di Malafesta per togliere ogni confine alla disgrazia di certe vite, sarebbe sufficiente l’inconsolabilità della disgrazia che sta nell’abbraccio danzante del duo, nello stupore che è coltello affilato, che strazia carne e spirito. Con un ombrello nero, un carillon della festa che batte il tempo di un funerale musicato da prima che si discendesse al mondo. E da sul palco, l’inferno è una calda speranza di pace.
La Malafesta di Rino Marino, interpretata da Fabrizio Ferracane e Rino Marino.