Orapronobis, Reggio Calabria “Teatro Siracusa”, 5 aprile 2014 – recensioni di Lavinia Romeo, Paola Abenavoli, Filippo Mammì

loc reggio calabria opn

ORAPRONOBIS

testo e regia di Rino Marino
con Fabrizio Ferracane
una produzione compagnia Marino/Ferracane

Reggio, al “Siracusa” la drammaturgia tagliente di “Orapronobis”  di Lavinia Romeo

Un fantoccio seduto su un trono con la mitra papale e la veste nera, di spalle ed immobile, a rappresentare la Chiesa della storia, quella della santissima inquisizione, del Concordato con la Germania nazista, la Chiesa del potere temporale, che predica l’amore mentre miete vittime innocenti “la Chiesa che – come urla il protagonista – si volta dall’altra parte in tempo di guerra e di camicie nere”. Accanto un’esile croce di legno, a cui il protagonista si rivolge, sempre chino, dolente, furioso, parla a Cristo, con uno straziante soliloquio, chiede che egli plachi le sue sofferenze, chiede con braccia tese e voce imprecante e ginocchia terra di essere ascoltato, chiede risposte sulla vita, sulle sofferenze e sulla morte, mentre sua “Eccellenza”, quel manichino svuotato, senz’anima, resta muto, impassibile, indifferente. “Orapronobis” è un testo intenso ed emozionante. La lingua siciliana scelta dall’autore trapanese Rino Marino risulta fortemente incisiva, un veicolo perfetto per esprimere la violenta invettiva di un uomo, un “povero Cristo”, offeso dalla vita e privato degli affetti, il suo grido si interrompe solo a tratti, intervallato da cupe litanie e filastrocche vernacolari. La drammaturgia si esprime attraverso le taglienti parole pronunciate dall’eccezionale attore Fabrizio Ferracane, ma sopratutto, attraverso una sinfonia di gesti e mimica, tutti i tormenti di quel povero disgraziato, un uomo del popolo con le mani e la faccia sudice, fuoriescono all’unisono. Fantoccio e uomo soli sul palco, uno a rappresentare l’amara parabola del potere e l’altro l’amara parabola della vita, mentre quelle parole urlate, taglienti come lame, ricordano la corruzione e l’opulenza della Chiesa che “scoperchia i santi per portarli in processione e raccogliere denari”. Ma lo sciagurato sente una presenza lontana, forse la giustizia divina, che sta per giungere a ripulire le lordure dell’operato dell’uomo: “Stanno arrivando Eccellenza, a presentare il conto a voi e ai vostri compari”. La luce si spegne e comincia un secondo monologo, la vita dell’uomo, tra ricordi e disgrazie e la morte, che in quell’esistenza sofferta non è un’orribile incappucciata con in mano la falce, ma bensì “un picciriddu che gioca a nascondino e quando dice ti vitti! Finisce la festa..”. La morte come sorte che si è abbattuta nella sua famiglia, lo si vede nel lutto che l’uomo porta al braccio, mentre la sua la sofferenza diventa speculare alla sofferenza di Cristo, il sacrifico della vita rimanda però nella fede popolare in un aldilà, un luogo migliore dove stavolta sia l’uomo a reincarnarsi. Il bravissimo Fabrizio Ferracane riesce a far legare le due differenti parti del testo, la prima parte, in cui viene meno la percezione del reale e la coscienza, un delirio in cui il protagonista si abbandona con uno straripante flusso di pensieri e la seconda parte, in cui il personaggio ripercorre in maniera lucida la sua esistenza misera e marginale. “Orapronobis ” è una rappresentazione ideale, in cui è andato in scena lo straordinario talento di un attore, che è riuscito a trasmettere l’efficacia visuale di un testo eccellente.

www.strettoweb.comwww.ildispaccio.it/fronte-del-palco/44-reggio-calabria/42236-reggio-al-siracusa-la-drammaturgia-tagliente-di-orapronobis

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“Orapronobis”: testo intenso e grande prova d’attore per l’apertura della stagione del Teatro SIRACUSA

Un testo intenso, di grande forza. Un interprete di straordinaria capacità espressiva, che regge sulle sue spalle (anche a livello letterale, fisicamente, soprattutto nella prima parte) un monologo che rappresenta una prova attoriale di alto livello. “Orapronobis” apre con successo la stagione di prosa del Teatro Siracusa di Reggio Calabria: e dà chiaramente la linea di questo percorso, come evidenziato peraltro già in conferenza stampa dal direttore artistico Massimo Barilla. Ovvero, un percorso attraverso un teatro di narrazione che fa un passo in avanti, che è qualcosa in più, che guarda oltre; che si avvale dell’uso del dialetto, da qualche anno “recuperato” nella sua valenza piena, anche artistica, dal teatro contemporaneo. E che, come nel caso di “Orapronobis” (recitato in dialetto siciliano) diviene esso stesso, al di là della forza dirompente del testo, elemento di racconto, mezzo propulsivo – anche con la sua sola musicalità – del racconto e dei suoi intenti, con cadenze ed intonazioni che divengono, appunto, strumenti narrativi, al di là delle singole parole e delle singole frasi. Parole che pure, nel testo di Rino Marino della compagnia trapanese Marino/Ferracane, già vincitrice del Premio della Critica al Dante Cappelletti 2010 con “Ferrovecchio”, hanno già di per sé una grande intensità, nel porre il protagonista, solo in scena, davanti ad un potere ecclesiastico distante dal popolo, potere contro cui rivolge la propria invettiva, e davanti a se stesso, alle sue sofferenze, alla ricerca di sé, di una preghiera, di un sogno in cui sfogarsi e di una realtà che sia liberatoria. Due piani che si scontrano, un “io” dolente frutto di un’umanità dolente, che lo spettacolo ci pone di fronte, nella sua semplicità e nella sua forza. Spettacolo cui dà vita, come si diceva, un interprete dalla grande forza scenica come Fabrizio Ferracane, che sul palco “giganteggia”, in quel suo personaggio sdopppiato, anche nella recitazione fisica e interiorizzata, tra sogno e realtà, appunto.

Paola Abenavoli

www.culturalife.it/orapronobis-testo-intenso-e-grande-prova-dattore-per-lapertura-della-stagione-del-teatro-siracusa/?fb_action_ids=10151983951366573&fb_action_types=og.likes

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Recensione di Filippo Mammi’ per Mondo Spettacolo

Un’umanità derelitta, un protagonista scheletrito che si muove all’interno di una scenografia altrettanto scarna; insieme vanno a comporre una visione su cui adombrano i fantasmi della follia. Tutto questo è OraPronobis, un incisivo monologo ad atto unico, scritto e diretto dal regista e psicologo Rino Marino e ottimamente interpretato, con una vera piega dolorosa, dall’attore Fabrizio Ferracane, uno dei migliori esponenti del teatro siciliano, andato in scena sabato scorso al Politeama Siracusa di Reggio Calabria. Marino, come in altre sue opere, riesce a dare allo spettatore un equilibrio tra il teatro astratto di Franco Scaldati (a sua volta ispirato al teatro di strada siciliano) ed una profonda conoscenza della psiche umana, della sua lucidità e delle vertigini che possono condurre a perdere il senso della realtà; la storia stessa lascia il dubbio se tutto sia accaduto realmente o se sia stato un sogno o, addirittura, il delirante monologo di un pazzo che mescola ricordi struggenti, vecchi rancori e rabbia distruttiva. Una trama non c’è: un uomo, spoglio e vestito di stracci, è dentro un’ipotetica stanza del potere, davanti a lui ci sono solo una croce ed un manichino, con tanto di mitra, rappresentante forse un monsignore (l’uomo lo chiama, di volta in volta, “eccellenza” o “vossia”) o, forse, il Potere tout court. Il protagonista di Ferracane si lancia in un monologo scandito da un dialetto siciliano arcaico, dirompente ed angosciante secondo la tradizione della tragedia greca, accompagnandolo con una gestualità che, da sola, racchiude la sostanza di tutta la trama. Non sappiamo che cosa abbia fatto il protagonista o perché si trovi davanti ad un’autorità ecclesiastica, non è neppure detto che l’incontro sia reale; reale è, semmai, la disperazione dell’uomo, figlio di una progenie dolente e triste, che ha evidentemente subìto solo ingiustizie dalla vita, forse anche dalla Chiesa che dovrebbe aiutare gli emarginati, e che esprime il suo dolore nel raccoglimento della stanza di un vescovo. Un dolore che è anche un grido di vendetta contro il cielo: ne sono una prova le cupe giaculatorie che si odono appena l’uomo tenta un gesto di violenza e ribellione, e che iniziano come un semplice rosario per poi assumere la crudeltà di antichi proverbi siciliani, fino a sfociare nel blasfemo (una trovata davvero coraggiosa). In questo dramma è la parola la vera protagonista, che riacquista tutta la sua forza di suggestione, restituendo spazio all’immaginazione ed alla ricostruzione logica degli eventi che hanno portato il protagonista alla pazzia; l’uomo stesso si affida ad essa ed all’azione dei gesti, non tanto perché lo spettatore lo guardi agire, ma perché lo ascolti. Nella prima parte, l’uomo parla, interloquisce in un dialogo immaginario con il manichino, come se tutto lo spettacolo fosse un esperimento che aiuti il protagonista a far riaffiorare i traumi lesivi del suo equilibrio nervoso; egli è arrabbiato con il Potere, con l’umanità e persino con Dio, è ferocemente combattuto tra la voglia di ribellione (il dito puntato, lo schernire il monsignore) e l’oblio dell’apatia (il continuo chiedere perdono, i silenzi, il prostrarsi dinanzi al pubblico). La voce rievoca una società che forse spinge i suoi componenti alla follia, le contraddizioni della Chiesa, che predica e predica ma pensa solo ad arricchirsi, ed un terrore fisico verso il nulla, quelle tenebre che incombono sulla scena accompagnate da cupi suoni. Nella seconda parte, c’è la “realtà”: il protagonista ha solamente “sognato” la sua blanda ribellione e finalmente assistiamo al suo racconto di una vita marginale, vissuta tra gli stenti all’ombra di una famiglia forse opprimente e votata a glorificare un fratello sacerdote, considerato il santo di casa; nel rabbioso monologo, il protagonista ci svela la sua angoscia, il suo considerarsi “niente”, sfodera quelle frustrazioni che possono annidarsi nella personalità di ognuno di noi, finendo per diventare lo specchio che rimanda un’immagine deformata dello spettatore stesso, suggerendo che forse stiamo diventando gradualmente tutti pazzi, in un contesto socio culturale che fomenta le visioni distorte della realtà, ma ha il terrore dei folli (e quindi della verità).

www.mondospettacolo.com/a-teatro-con-filippo-mammi-ora-pro-nobis

Orapronobis, Reggio Calabria “Teatro Siracusa”, 5 aprile 2014 – recensioni di Lavinia Romeo, Paola Abenavoli, Filippo Mammìultima modifica: 2014-04-19T13:47:00+02:00da filmalieno
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